L’apprendimento in età scolare – dott. Carlo Matteo Callegaro

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ARGOMENTO

Pedagogia e apprendimento

Dottor Carlo Matteo Callegaro

PEDAGOGISTA CLINICO

Dott. Carlo Matteo Callegaro

Inizia la sua carriera come educatore professionale e insegnante.
Specializzato in Pedagogia Clinica presso ISFAR – Firenze, in Mediazione Famigliare e Counselling sistemico – famigliare presso Istituto Veneto di Terapia Famigliare – Treviso.
Inizia fin da subito a mettere in pratica gli insegnamenti appresi, ad oggi ha incontrato centinaia di bambini/e, ragazzi/e e le loro famiglie.
Cura con grande passione la formazione genitori come chiave per una crescita armoniosa.
Dal 2017 è docente a contratto di Pedagogia presso l’Università di Verona dipartimento Scienze Umane. Lavora nella ricerca scientifica nell’ambito dell’efficacia dei metodi di insegnamento ed è autore di pubblicazioni scientifiche sui temi dei disturbi specifici di apprendimento.
Sito personale: carlomatteocallegaro.it

INTERVISTA

Apprendimento

Dott. Callegaro che cos’è l’apprendimento? 

L’apprendimento è una funzione “complessa”, dove per “complessa” si intende che per realizzarsi al 100% è necessario che le sottofunzioni funzionino bene e che collaborino tra di loro.

Normalmente invece si prendono in considerazione solo alcune dimensioni e quasi mai la relazione che esiste tra una dimensione e l’altra.
Ma imparare, anche se per quanto sia un aspetto naturale, nel senso che è una funzione dell’essere umano, di conseguenza è una funzione già disponibile nell’essere umano, ma non è automatica. Sembra che, visto che abbiamo le funzioni, queste automaticamente svolgono la loro funzione. Non è così automatico perché c’è questo aspetto di complessità. Questo primo concetto ci spiega perché a volte non c’è apprendimento.
Questo mancato apprendimento a volte diventa un voto negativo, un problema a scuola di comportamento, ecc. quindi se noi partiamo da qui, cioè dal voto negativo, dal problema di apprendimento e andiamo indietro e diciamo che c’è un mancato apprendimento, cioè questo bambino, questo ragazza, questa persona non sta attivando tutte le proprie risorse per poter imparare.

A questo punto il Pedagogista Clinico che cosa fa? Dedica una parte iniziale, in maniera anche molto puntuale e precisa, a comprendere di queste funzioni, quali non stanno realizzandosi al 100% e le connessioni tra queste, perché il principio è che di fronte ad un mancato apprendimento le cause possono essere veramente molteplici e sono molto personali.

Quindi mentre il rischio è quello di semplificare il problema pensando che, ad esempio, la causa del voto negativo sia la mancanza di studio. Soluzione: deve studiare di più! Se fosse così semplice, avremmo risolto tutti i problemi della scuola, e così non è. Il voto negativo, il problema di comportamento, ecc. indicano che c’è qualcosa che non funziona in quel bambino, con quella storia, con quella famiglia e in quell’ambiente scolastico.

Quindi il lavoro nostro di Pedagogisti Clinici è quello di andare a identificare in maniera puntuale e precisa le specifiche cause di quelle che sono le difficoltà. Quello che noi chiamiamo verifica delle PAD Potenzialità, Abilità e Disponibilità ad apprendere in questo caso. Questo è importante perché non andiamo a misurare semplicemente la caduta dell’apprendimento, cioè non andiamo a dire “Questo bambino non impara al 10% o al 20%”, ma andiamo a comprenderne le cause. Anche là dove ci sono altre valutazioni di professionisti che inquadrano quei problemi in una specifica categoria, come può essere per il Disturbo Specifico dell’Apprendimento, noi andiamo a vedere in quel ragazzino, che cosa vuol dire cosa non funziona e soprattutto che abilità e disponibilità può mettere in campo per risolvere i problemi. Non dobbiamo vedere solo il problema, ma dobbiamo vedere come poterci poi lavorare.

Quindi dott. Callegaro ci sono molte sottodimensioni dell’apprendimento, senza prenderle in esame tutte, quali tra queste può trasmetterci?

La motivazione è un tema che io specifico molto, che come sai la motivazione è sia la spinta ad apprendere, ma allo stesso tempo è qualcosa che si deve andare a costruire, dall’altra parte è legata a questi due drivers come dicono gli inglesi, questi due motori che sono “Piacere” e “Sofferenza”.

Quindi è chiaro che i drivers motivazionali che noi usiamo “sono spinto/attratto verso una situazione di piacere” o “sfuggo da una situazione di dolore o sofferenza”. Attualmente è chiaro che la maggioranza dell’apprendimento usa i drivers   “sfuggo da una situazione di dolore e sofferenza”. Ad esempio: “Studio perché non voglio prendere un brutto voto”; “Studio perché altrimenti mia mamma mi rompe le scatole”, ecc. Però c’è una differenza tra i due drivers: se sei attratto e polarizzato verso un punto, mi spingi verso quel punto, e cerchi di arrivarci; se invece vuoi scappare da quel punto, non è importante dove ti trovi, ma l’importante è rimanere il più lontano possibile.

Come si traduce questo nell’apprendimento?

Se voglio scappare dal rischio dei brutti voti non automaticamente studio di più. Anche qui c’è una semplificazione: “Se gli dò dei brutti voti e lo punisco, studierà di più”. Lui cercherà di tenersi lontano da questo con strategie che non necessariamente sono quella di studiare di più.

Quanto e come si può trasferire l’insight allo studente? L’essere presente a me stesso, monitorare il dialogo interiore per monitorarmi e motivarmi, ecc.

Questo  ha anche fare con la consapevolezza di sé, ed è chiaro che la consapevolezza è lo strumento fondamentale per la crescita e per qualsiasi tipo di crescita, però è un qualcosa che si sviluppa nel tempo grazie anche a un percorso, non dobbiamo dare per scontato che ci sia questa consapevolezza che cresce.

Come si sviluppa?

Attraverso un percorso di consapevolezza, si parte dall’esterno all’interno e via via uno dall’interno all’interno, cioè divento più consapevole di come funziono e di quello che sto vivendo perché qualcuno dall’esterno me lo fa notare e quindi me lo fa vedere e poi piano piano porto questa disponibilità al mio interno e incomincio ad osservare me stesso. Però si parte sempre dall’esterno all’interno, che è un pò quello che il genitore o l’educatore dovrebbe fare, ma a condizione di riuscire a far passare il contenuto senza far passare forme di accettazione/rifiuto/giudizio, perché queste forme sono quelle che ci bloccano in qualsiasi percorso di consapevolezza.

Dott. Callegaro questo ha a che fare con un altro grande tema che è il tema dell’errore

Noi impariamo dai nostri errori e come dico spesso io è che l’errore è una grandissima benedizione a patto che, chi ti dà come feedback che c’è un errore, ti presenti questo come un errore rispetto a ciò che hai fatto e non ciò che sei, quindi non passi forme di giudizio rispetto alla tua identità.
Perché tutti noi siamo costantemente impegnati a mantenere un’integrità della nostra identità e quando siamo attaccati sull’identità, si scatenano le difese più grandi. Quindi non possiamo più vedere l’errore perché siamo troppo occupati a difendere la nostra identità. Poi piano piano grazie al fatto che mi si fa notare l’errore, inizio a notarlo io stesso, ma anche qui devo essere in grado di fronteggiare la frustrazione dell’errore, quindi imparo a fronteggiare la frustrazione dell’errore dall’esterno all’interno, che è un percorso naturale.
In una relazione educativa la frustrazione dell’errore dovrebbe essere contenuta dalla relazione. Il punto è riuscire a far passare il messaggio rispetto a ciò che è stato fatto. Io posso dare questo feedback ed è efficace nella misura in cui entrerò nel dettaglio, di cosa è stato fatto, gli spiego cos’è l’errore, come si è generato, gli spiego soprattutto che cosa mi aspettavo e quindi stiamo su un piano di concretezza su un prodotto, di qualsiasi tipo. Naturalmente nasce la frustrazione, perché tutti noi vorremmo fare le cose per bene, ma dentro ad una relazione questa frustrazione dovrebbe essere contenuta, cioè se io riesco a contenere dicendo: “Guarda questo è quello che hai fatto e ti passo questo messaggio…” (lo contengo), poi piano piano impari anche tu ad osservare quello che fai, ad attivare questo piano di consapevolezza, ma stando sull’oggetto e senza far partite quel dialogo interiore del “Non sono capace, non sono bravo” ecc. perché quello non ci fa vedere l’errore e lo pervertiamo.

Torniamo sulla motivazione e sulla interessante metafora dei due drivers. Dott. Callegaro anche su questo argomento, che poi è collegato a quanto detto fino ad ora, cosa può trasferirci concretamente?

Questi due drivers sofferenza o piacere, quando stiamo lavorando sugli apprendimenti, è importante conoscerli. La storia del ragazzo è importante perché è chiaro che una serie lunga di frustrazioni come quelle del dolore, difficilmente aumentano la motivazione allo studio. Ecco che è necessario riuscire a far fare delle esperienze di successo che permettano piano piano a cancellare le esperienze di insuccesso. Non tanto motivare il ragazzo con discorsi motivazionali.
Quello che viene fatto in un incontro di Pedagogia Clinica ha questo valore, cioè la motivazione  ha a che fare con l’immagine di sé, quindi si distribuisce, è far vivere delle esperienze di successo non necessariamente in ambito di apprendimento, perché lì c’è spesso una visone stereotipata che è difficile andare a distruggere, ma facendo queste esperienze di successo nell’agire e nel fare, limitrofe all’apprendimento, queste piano piano in maniera liquida riescono ad entrare anche nell’apprendimento.
Quindi cambia la visione di sé che di solito è fallimentare, con una visione che ha sia risorse che difficoltà, ma soprattutto comincia a vedere risorse da mettere in campo.
In termini generali di apprendimento si dovrebbe lavorare anche a scuola.

Quali altri strumenti si utilizzano per affrontare l’insuccesso?

Quello che facciamo noi è innanzitutto comprendere quali sono le difficoltà, ma soprattutto quello che a noi ci interessa sono le competenze di base che vanno a strutturare qualsiasi apprendimento. Quando arriva il ragazzo con difficoltà spesso sono competenze non del tutto sviluppate e di conseguenza poi è come costruire una casa su delle fondamenta poco resistenti, o meglio, poco sviluppate, più la casa cresce è più c’è il rischio che crolli.

Noi ci occupiamo quindi di lavorare su queste competenze di base che servono per qualsiasi apprendimento e al di là di qualsiasi materia.
Nello specifico noi lavoriamo sulle capacità attentive che sono alla base, non si può imparare se non si tiene un’attenzione focalizzata per il tempo richiesto in base alla classe di età.

Poi ci sono le abilità che partono dal proprio corpo, perché l’apprendimento passa sempre dal nostro corpo, quindi noi dobbiamo armonizzare la nostra capacità di vivere il nostro corpo e di vivere la spazialità, il sopra e il sotto, il davanti e il dietro, l’armonia del movimento perché nell’armonia del movimento c’è la disponibilità di un copro che apprende.

Si riferisce agli apprendimenti della Scuola dell’Infanzia e alla Scuola Primaria o possiamo andare oltre?

Possiamo andare oltre, possiamo andare alle scuole medie, possiamo andare alle scuole superiori e possiamo andare anche nell’adulto! Perché più si va avanti e più queste disarmonie dischiarano dei blocchi (che si rilevano durante le PAD) e nel momento in cui divengono risolti, c’è una disponibilità. I blocchi sono delle difese che noi mettiamo in atto e che diventano delle corazze che abbiamo e che somatizziamo.

Oggi la Scuola tende a lavorare molto più sul piano cognitivo e per cui noi Pedagogisti Clinici quando presentiamo questo aspetto a volte si aprono dei canali di apprendimento che prima non erano conosciuti o poco considerati.

Quindi tornando alle competenze di base che sviluppiamo, diceva come l’attenzione, poi quali altre competenze possiamo ricordare?

Le competenze di base aiutano a sviluppare la metacognizione, quindi la consapevolezza di ciò che si sta mettendo in campo: la mnesi, la memoria, le capacità espressive, quindi la capacità di esprimere e quindi tutto ciò  che ha a che fare con il linguaggio.

Quindi dott. Callegaro riassumendo, una volta che conosce le potenzialità, le abilità e le disponibilità di un bambino/ragazzo/adulto come prosegue?

Si va a fare una proposta di percorso dove si va a recuperare queste competenze. Naturalmente in tutto questo non dobbiamo dimenticarci che, un’altra specificità del nostro lavoro, è quella del coinvolgimento della Scuola e del coinvolgimento della Famiglia.È chiaro che questo bambino/ragazzo vive in un contesto e il contesto dell’apprendimento è la scuola e di conseguenza è molto importante che noi ci mettiamo a disposizione della scuola. Ad esempio predisponendo insieme alle insegnanti un Piano Didattico Personalizzato, questo aspetto è importantissimo perché altrimenti andrà ad inficiare qualsiasi intervento.
Se dall’altra parte troviamo queste disponibilità, come normalmente troviamo negli insegnanti, cioè di essere affiancati da uno specialista che ha conosciuto bene il ragazzo, conosce le risorse, che può costruire la didattica adeguata (che poi noi siamo Pedagogisti e quindi il nostro interesse è quello di costruire una didattica adeguata), riusciamo a permettere che quell’ambiente diventi un ambiente maggiormente potenziante. E lo stesso con la famiglia perché se poi con la famiglia c’è solo una delega, non si costruisce nulla. L’importante è che anche la famiglia costruisca l’ambiente migliore: bisogna dare un colpo alla botte e un colpo al cerchio.

Dott. Callegaro io utilizzo una mappa cognitiva appresa dalle sue lezioni, oltre a riassumere bene le funzioni dell’apprendimento e le relazioni di tutte le sottodimensioni coinvolte nell’apprendimento, è un importante  strumento di lavoro. Posso condividerlo per i colleghi, educatori e insegnanti che ci stanno leggendo e che vogliono approfondire più nel dettaglio il tema dell’apprendimento?

Certamente!

Si ringrazia il Dott. Carlo Matteo Callegaro per la disponibilità.

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