Centro antiviolenza – Cristina Marigo

ARGOMENTO

Centro antiviolenza

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20 minuti

RACCONTO

Avvocato, Assessore alle Politiche Sociali e Vicesindaco della Città di Schio

Cristina Marigo

Laureata in Giurisprudenza presso l’università degli studi di Padova. Ha superato l’esame di avvocato conseguendo il titolo presso la Corte d’Appello di Venezia.
Svolge la professione di avvocato con studio a Schio.
Da quasi nove anni è Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Schio e da quattro riveste anche la carica di Vicesindaco.

Non pensavo sarei mai riuscita ad affrontare il delicatissimo tema della violenza contro le donne, ma grazie alla prossima protagonista dello Spazio Donna, sarà lei a farlo per noi di Iocomerisorsa.
Oggi incontriamo Cristina Marigo avvocato di professione, ricopre l’importante ruolo di Assessore alle Politiche Sociali e Vicesindaco della Città di Schio. Si rivelerà un racconto piacevole perché, nonostante si affrontino tematiche serie e gravi, ci sarà l’occasione per toccare altri argomenti più leggeri. Prenditi il tempo per leggere questo racconto perché, se già segui lo Spazio Donna di Iocomerisorsa, non troverai sintesi, ma la trascrizione del dialogo integrale tra me e le protagoniste. Cristina ci racconterà anche un pò della sua vita privata, come riesce a conciliare vita e lavoro, gli anni della formazione e quanto sia per lei fondamentale tornare a “centrarsi” con la presenza e il “prendersi cura” della sua famiglia. 

Ma per comprendere l’impegno di Cristina Marigo è opportuno presentare, se pur sinteticamente, la città di Schio, in cui l’assessore riveste questo ruolo. È una cittadina di ben 40.000 abitanti, terzo comune più popoloso della provincia di Vicenza. Schio è una città dalle mille sfaccettature, importante polo industriale, con profonde radici storiche, soprannominata la Manchester d’Italia per la sua archeologia industriale. Le montagne che la incorniciano, offrono itinerari e musei a cielo aperto che raccontano le due Grandi Guerre. Schio è una città multietnica, dinamica e sempre in evoluzione e in cui ricoprire un ruolo amministrativo è una grande responsabilità. Quello che mi è piaciuto di Cristina Marigo è che, nonostante ricopra una posizione rilevante, ha una presenza che non intimorisce. Forza, equilibrio e sensibilità sono caratteristiche non facili da trovare riunite in una sola persona. È una donna dalla forte personalità ma dal tono e dallo sguardo dolce e accogliente, che mette a proprio agio le persone. 
Ci tengo a raccontare che, per questo incontro, le avevo chiesto una finestra temporale di un’ora e mezza, ma solo dopo ho compreso quanto le sia costato sottrarsi ai suoi impegni, per i quali, come minimo, avrebbe bisogno del dono dell’ubiquità.

Cristina la posizione di assessore al sociale durante il lockdown è stata sicuramente molto delicata, quali sono state le reazioni che avete incontrato nelle persone?

Le persone hanno reagito in modi diversi, chi ha preso coraggio e si è presentato per ragionare sul suo stato, chi invece è rimasto chiuso in casa a lungo, arrivando a vivere situazioni estreme. In quel periodo per molte famiglie c’era una grossa incertezza economica e questo ha pesato non poco su molti equilibri, magari già instabili. Il Covid è stato un periodo di forte stress ed ha richiesto molto impegno, uno dei periodi più complessi che io abbia affrontato, soprattutto per la fatica di vivere giorno per giorno, senza poter programmare nulla.

Ci addentriamo quasi subito nell’argomento e si arriva a toccare il delicatissimo tema della violenza domestica. Quindi ad un certo punto chiedo a Cristina se nei casi estremi viene presa in carico tutta la famiglia, anche il marito violento.

La mission dei centri antiviolenza, e delle case rifugio, è la messa in protezione della donna e dei figli, perciò non è prevista la mediazione familiare. La donna deve prendere consapevolezza della sua situazione e capire che può uscirne, non c’è un percorso uguale per tutte, ogni caso è a sé stante. Ogni situazione va gestita in modo diverso: dalla necessità di rivolgersi ai carabinieri per fare una denuncia; mettersi in opera per cercare delle reti amicali e familiari che possano dare ospitalità; mettersi alla ricerca di una casa rifugio o accogliere in qualche misura perché se, per esempio, l’emergenza è segnalata dal pronto soccorso, la persona non può essere rimandata a casa.

La segnalazione poi passa alla rete? Cioè c’è una rete che se ne occupa?

Sì, abbiamo lavorato per stilare un protocollo che perfezioni i vari passaggi, perché non ci siano lacune. L’importante è creare delle sinergie, la donna non può continuare ad essere soggetta a violenza perché non sai mai quale possa essere l’escalation della situazione e bisogna lavorare insieme per arrivare a questo risultato.
Avevamo già un protocollo approvato, ora l’abbiamo rivisto, ampliando la rete. Per esempio, adesso esiste anche uno sportello per uomini maltrattati a San Vito di Leguzzano curato dal Centro Ares di Bassano.

Quali sono le difficoltà che incontrate?

Siamo enti diversi e ognuno ha le proprie regole e le proprie formalità. C’è anche la necessità che i Servizi Sociali di ogni Comune prendano in carico le donne residenti nel Comune stesso. Se, per esempio, la donna vittima di violenza non è di Schio il Centro Antiviolenza coordina sì la rete, ma è l’assistente sociale del suo paese che ha la facoltà di prendere una serie di decisioni come, ad esempio, aiutarci nel trovare una soluzione abitativa.

E la donna in queste situazione spesso non lavora…

Nel Centro Antiviolenza raccogliamo dei vissuti di donne che hanno delle realtà trasversali. La violenza colpisce anche la donna che ha studiato, che ha un posto apicale nel lavoro, che ha cultura ed indipendenza economica. Questi fattori spesso non fanno la differenza. Al Centro Antiviolenza si rivolgono anche donne che vogliono prendere consapevolezza della propria condizione, sono passaggi difficili per tutti, soprattutto quando si parla di sentimenti come l’amore o la famiglia.

E poi non c’è solo chi maltratta fisicamente, ma esiste anche la manipolazione psicologica…

Ci sono varie tipologie di uomini maltrattanti. C’è chi agisce tramite violenza fisica, ma quando c’è una violenza fisica in verità c’è anche una violenza psicologica. Al contrario possono capitare dei casi in cui c’è una violenza psicologica pura, ad esempio economica, in cui la donna che guadagna deve lasciare tutti soldi al compagno, al marito perché gestisca tutto lui, deve avere il controllo di tutte le spese. Sono tante le forme di violenza e rendersene conto è un processo complesso, soprattutto per chi vive la situazione in prima persona. I casi, come già detto, vanno gestiti in modo diverso, coloro che si approcciano al Centro Antiviolenza sono donne che sentono il bisogno di capire la loro situazione, possono non tornare o magari tornano anche dopo 2-3 mesi quando è successo qualche fatto particolare. Normalmente sono donne che si attivano iniziando a ragionare di separazione, noi forniamo anche il servizio di consulenza gratuita grazie all’associazione “Donne per le Donne” insieme all’ordine degli avvocati di Vicenza. Questo percorso è fatto di tanti piccoli passi. Diverso è quando c’è una violenza agita in maniera grave e fisica e quindi bisogna prendere in carico la donna in velocità. Questi sono per lo più casi di chi non ha una rete sociale e non sa a chi rivolgersi.

…e nel caso di donne di origine straniera, parlano la lingua?

Succede spesso, anche l’ultima accoglienza fatta era di una persona che aveva risorse proprie, assolutamente consapevole della situazione ma non parlava né italiano, né inglese. In questi casi subentra la difficoltà di trovare mediatori. 

…non ci sono mediatori a disposizioni nella rete?

Abbiamo sempre contatti con la Cooperativa Samarcanda che dispone di mediatori formati, però tante volte la persona parla un dialetto, non semplice da comprendere e tradurre e poi si tratta di tutto un percorso di mediazione culturale, non è “semplice traduzione”. Il percorso di consapevolezza è personale, ad alcune persone occorre molto tempo per capire e accettare, ad esempio, che l’uomo con cui si è vissuto è una persona pericolosa per sé e per i figli. Una delle molle che porta a reagire, a muoversi, spesso è la violenza agita sui figli, ma è comunque un processo difficile soprattutto per le donne di origine straniera che qui sono sole, non hanno nessuna professionalità o indipendenza.

IL PERCORSO DI USCITA DALLA  VIOLENZA

Le mie domande sono di chi non conosce per nulla il tema e quindi chiedo, forse un pò ingenuamente, se i figli devono mantenere il rapporto con il papà violento.

Dipende da cosa decide il tribunale, noi non abbiamo voce in capitolo, tra l’altro tutta la presa in carico dei minori è appannaggio dell’Ulss, anche se i rapporti con il comune ed il Centro Antiviolenza continuano. La tendenza è quella di mantenere il rapporto con il padre, ma le dinamiche sono molto spesso difficili da gestire. Il Tribunale è un ulteriore ente “altro”. In ogni caso il Tribunale di Vicenza ha creato un pool di magistrati che hanno cercato di formare un team ad hoc per dare una risposta veloce e competente.

Cristina quando prima raccontavi che sono diverse le associazioni che si occupano di attivare percorsi per portare la donna fuori casa, intendi, quindi, inserirla in un contesto sociale e di comunità?

Sì, mi riferivo al percorso di costruzione del proprio futuro, quello successivo all’uscita dalla violenza, è un percorso molto lungo. Il primo passo è capire quali sono le proprie competenze, attitudini e risorse, fortificarle e specializzarsi cercando magari assieme un percorso formativo ed un lavoro. Spesso il problema è organizzarsi con i figli, con la scuola. Stiamo cercando di stimolare una rete informale in questo senso, puntando sulle associazioni del territorio, che ci hanno sempre dato una mano. Un’altra cosa difficile è spostare la donna, quando ha i figli già inseriti in una scuola, è complicato chiederle di cambiare città, anche se a volte sarebbe la soluzione migliore.

Ma quali sono i numeri del nostro territorio?
(l’assessore mi porge un fascicolo) leggo un triste primato su Schio…

Sì, siamo la città più grande e i nostri molteplici servizi ci rendono attrattivi. Da noi c’è lavoro, un distretto industriale importante, perciò ci sono più persone che arrivano. C’è un grande dispiacere in tutta la Giunta nel leggere questi numeri, perché facciamo tanto sul tema e poi però non sembra mai abbastanza.

Forse i numeri aumentano grazie alla vostra sensibilizzazione e iniziative sul tema?

Sì, io sono più che convinta di questo. Infatti si stanno presentando situazioni nuove e si leggono nei dati. Si sta ampliando la forbice dell’età delle donne che si rivolgono a noi. L’ attività di sensibilizzazione ha fatto in modo che chi pensava che quella fosse la sua vita e dovesse rassegnarsi, s’è resa conto che forse si può fare diversamente, anche se ha 70 anni. Al contrario c’è chi è giovanissima e non vuole vivere quello  che ha vissuto la madre.

Ci sono altre letture che si possono fare su questi dati?

Le donne “più anziane” sono italiane, perché sul territorio non ci sono ancora molte donne “anziane” di origine straniera. Le più giovani invece sono più spesso di origine straniera.  Molto del nostro lavoro si rivolge alla sensibilizzazione, così che i ragazzi si rendano conto se stanno vivendo una relazione tossica, ma anche qui serve tempo. Gli input devono essere costanti e continui perché, ad esempio, i giovani si rendano conto di qualcosa che non va e inizino a prenderne coscienza. Gli input devono arrivare dalla famiglia, dagli amici, dalla televisione, dalla comunità, ecc. anche perché lo smartphone in queste situazioni è molto subdolo: ricatti, foto, video è facile finire in queste forme di violenza e non è facile uscirne.
C’è un sommerso che non sapremo mai. Le segnalazioni nel 2022 sono state 238, 151 le donne seguite presso il Centro di Ascolto, 4 sono stati gli inserimenti in casa rifugio. 

Di seguito il link ai dati relativi all’anno 2021.

PREVENZIONE CONTRO LA VIOLENZA

Cosa si sta facendo in tema di prevenzione?

Una parte di prevenzione siamo riusciti ad attuarla nell’ambito scolastico, abbiamo consolidato un rapporto con gli insegnanti referenti sul tema nelle scuole superiori. Si fanno momenti di approfondimento e sono i ragazzi stessi che richiedono la presenza delle operatrici, perché l’attività di sensibilizzazione fatta in questi anni, promossa sia a livello locale che nazionale, ha smosso molto. Facciamo in modo che i ragazzi sappiano riconoscere i piccoli segnali di violenza rispetto ai quali è opportuno alzare le antenne. Si parla molto dei loro rapporti personali, della gestione delle emozioni, del corretto utilizzo di smartphone, della capacità di comunicare e molte volte è successo che alcune ragazze ci hanno contattato dopo questi incontri. Raccontano, ad esempio, di un’amica che deve tornare nel suo paese di origine per sposarsi. Ci sono stati casi di ragazze prese in carico che si sono emancipate, ma è davvero molto complesso e loro devono avere un gran coraggio e tutto il nostro supporto.

Lo Sportello Donna è stato intitolato alla giornalista scomparsa Maria Grazia Cutuli per rendere omaggio ad una donna che ha unito passione
per il lavoro e impegno civile nella difesa dei diritti umani.

Perché hanno molta paura immagino…

L’importante è far capire che c’è un’alternativa, che la si studia insieme, che non c’è nulla di catastrofico. Non è un percorso che ti viene imposto e loro in molte occasioni si sono fidate. Anche gli insegnanti hanno avuto un ruolo importante.


Io ricordo che lo Sportello Donna un tempo, non molto lontano, era uno spazio inteso come fucina di idee e progettualità, dove si intercettava con l’ascolto, il tema della violenza e del disagio. Negli anni si è evoluto e ora converge con il Centro Antiviolenza, ma prima aveva finalità diverse, non solo legate alla violenza e ai temi dell’assistenza, per un breve periodo ho partecipato al centro di Documentazione…


Lo Sportello Donna è nato nel 2001 con una finalità di promozione di tutta una serie di attività a favore delle donne. Ora siamo totalmente assorbiti dal Centro Antiviolenza.

Ma non possono coesistere?

Abbiamo tentato di tutto, abbiamo continuato a fare attività, ma nel tempo il tema della violenza ha completamente assorbito il lavoro delle due operatrici che sono psicologhe. Successivamente abbiamo aggiunto un’educatrice per fornire loro un supporto, perché la gestione della Casa Rifugio a partire dal 2014 è difficilissima. Ci siamo appoggiati ad una Cooperativa per svolgere alcune ore di attività con le donne e con i figli, e di supervisione del nucleo famigliare, però tutte le energie delle tre operatrici sono assorbite dal Centro Antiviolenza.

COMPETENZE ACQUISITE DALL’ASSESSORE MARIGO

Per uscire da questo tema, quali sono gli altri ambiti del tuo assessorato?

Mi occupo di minori, famiglie, le persone più fragili quindi persone con disabilità, anziani, marignalità sociale, dei rapporti con l’Ulss.

Come sono i rapporti con l’Ulss?

Se posso sintetizzare … sono complessi. Sono enti grandi, che rispondono a politiche diverse, rispondono alla Regione. Gli enti sono ancora organizzati in maniera verticale e apicale e per lavorare bene in una rete, bisognerebbe che fossero organizzati in maniera orizzontale e non per compartimenti stagni, bisognerebbe che ci fosse un lavoro intersettoriale, non limitato da logiche particolari e finché le logiche sono organizzate così, è difficile lavorare insieme. Ognuno fa il “suo” fa ciò che deve fare all’interno di determinate regole e arriva “fino a lì”.

Ma tu Cristina in questi anni quante competenze pensi di aver aggiunto a quelle che già possedevi?

Un MILIARDO! (E le scappa una risata)

È stata una palestra gigante!

Stai scherzando? È stata un’avventura grandiosa. Come in ogni lavoro, quando entri in una nuova realtà devi imparare tanto e ti arricchisci ogni giorno, però in questo caso dico che mille libri non mi avrebbero insegnato quanto in realtà poi ho potuto imparare sul campo. Anche solo conoscere tutte le associazioni del nostro territorio, tutte le cooperative, “chi fa cosa”, qual è il destinatario finale, come si finanziano, che tipo di aiuti hanno, è un grande patrimonio di conoscenza ed esperienza.

Qualcuno ti ha aiutato? C’è una rete interna?

Sono stati tutti molto collaborativi, generosi e da loro ho imparato tanto. Ho trovato un servizio che era necessariamente già ben strutturato, anche perché quando eroghi contributi, devi farlo seguendo regole ben precise. Sono passati anni e ancora non ho finito di ringraziare i miei collaboratori per l’impegno e il clima che hanno saputo creare.

Perché in effetti sembra ieri, ma in realtà è già passato qualche anno … me lo ricordi tu quanti hanno sono trascorsi?

Tantissimi, sono quasi nove anni, il mio primo mandato è iniziato nel Giugno del 2014.

Ma che anni sono stati? Va bene l’inizio, ma poi?

Lo dico sempre: i primi tre anni sono stati un treno che mi è venuto addosso.

Tre anni è durata? (Con l’espressione di chi dice: “Così tanto”?)

Eh sì, è stata durissima, nel senso che ero molto coinvolta, non dalle questioni personali dei singoli nuclei, perché pur incontrando tantissimi cittadini, ho sempre avuto il supporto da un lato degli assistenti sociali che mi trasferivano preventivamente le informazioni pertinenti, senza andare così allo sbaraglio, e dall’altro dell’esperienza che mi sono fatta con il mio lavoro, di avere a che fare con  persone che mi rappresentavano situazioni problematiche. Non mi sono mai discostata dalle indicazioni degli assistenti sociali, perché conosco la loro professionalità e so il lavoro che ci sta dietro. E’ stato un treno in corsa, perché ho dovuto imparare da zero, tutto. Ho conosciuto un mondo che non sapevo esistesse, se non per sentito dire, ma non nei contenuti, non nell’operatività, perciò ho dovuto banalmente studiare tanto. E’ un settore che ti coinvolge perché non tratti di cose, ma della vita delle persone.

Eh sì…la materia è quella!

Senti la responsabilità di qualsiasi scelta che compi. Perciò tre anni li ho passati un pò affannata nel cercare di gestire il mio lavoro e imparare tutto quello che potevo imparare qua, poi è andata meglio, ma sempre a scapito del mio lavoro, perché il tempo è quello che è…

È diventata la tua prima occupazione?

È diventata un’occupazione vera e propria, assolutamente. La mia professione è fare l’avvocato e quando sono in studio ho comunque il telefono sempre disponibile, le mail sempre aperte, la testa là, tante cose cose da organizzare che richiedono tempo. Che si tratti di una telefonata con l’amministratore di qualche altro paese o con qualcuno con cui sta trattando per fare una certa cosa o con gli uffici per risolvere un certo problema, il telefono è sempre caldo! 

CONCILIAZIONE VITA-LAVORO

Cambiamo argomento e portiamo l’attenzione su di te, come è stata la conciliazione famiglia-lavoro?

Su questa cosa io sono ferrea e non mi smuove nessuno. Devo ritagliarmi giornalmente dei momenti in cui stare a casa, devo vedere i miei cari, devo tornare a casa a mangiare a pranzo, devo farmi la spesa, punto. Rinuncio a tutto, rinuncio al mio lavoro di avvocato, però le mie ore a casa le devo fare. Ho avuto un grande aiuto dai miei genitori che hanno sempre capito e condiviso le mie scelte.
Anche i miei figli si sono dimostrati maturi. Ho sempre coinvolto la mia famiglia nelle mie scelte e non l’ho mai messa in secondo piano, l’aspetto che ho più trascurato sicuramente è il mio lavoro, ma bisogna mettere in fila le priorità.

E come donna che ricopre un ruolo così apicale in cui oltre che ad avere un’alta responsabilità, ti si richiede presenzialismo…

Non è una cosa facile, ma dove posso mi  organizzo e dove non posso, perché i tempi sono dettati da altri, mi adatto: cerco di non mancare anche perché non puoi perdere pezzi, devi poter far parte di chi decide cosa sarà il domani. Mi pesa stare fuori alla sera perché è il momento dedicato alla famiglia, oltre poi che per la stanchezza.
Questa sera mio figlio vuole organizzare una cena in casa e ha invitato 10 amici, immagino già la confusione, ma va bene così perché preferisco che siano in casa e che abbiano un punto di riferimento, penso sempre che vederli e fargli trovare un pasto caldo, un ambiente accogliente, fare due parole, sia importante.

Durante il Covid non hai vissuto la disparità di genere in cui si è vista più la donna a casa con i figli, anche se tuo figlio in realtà è già grande e meno bisognoso della presenza costante di un adulto

Io non sono mai rimasta a casa, ma l’ho vista questa disparità, c’è e si legge nei rapporti provinciali sul lavoro: io direttamente non ne ho mai vissute, né come avvocato, né qui in Comune.

Era già un ambiente attenzionato e sensibile oppure era spontaneo?

Quello degli avvocati non saprei dirtelo, fin dall’inizio della pratica forense non ho mai vissuto situazioni brutte, non ho mai avuto sensazioni di essere discriminata… Ma proprio mai, né con i colleghi, né con i clienti, né con i magistrati, mai successo, forse sono stata fortunata.
Ma oggi si è arrivati ad un momento di esasperazione al contrario? Dove anche il linguaggio scurrile con una vena di “comico” rischia di essere preso sempre per  “tragico”. (I toni si fanno più colloquiali e si cambia registro). Ieri sera in televisione ho sentito Renato Zero dire che non si potrebbe più parlare romano per le strade, perché si sta perdendo la romanità cafona, ma era sola cafona, un linguaggio se vuoi scurrile, ma non andava oltre.

Hai ragione, era solo cafona, né più, né meno. Adesso è diventato tutto molto più complicato, io ho ricevuto un certo tipo di educazione, con un linguaggio rispettoso di tutti, non ho mai visto mio padre trattare male mia madre, perché femmina e mia mamma ha sempre fatto tutto in casa e per me è stato un grande esempio.

FORMAZIONE

La tua formazione?

Alle superiori ho frequentato ragioneria, la mia idea era andare subito dopo a lavorare, ma il mio professore di Diritto mi ha aperto un mondo. Ci ha tanto entusiasmati perché ci faceva parlare, ci metteva in discussione e con lui lezioni erano spesso una simulazione di dibattiti, ci chiedeva “Hai letto il giornale?” Che giornale hai letto?” “Che cosa hai capito?”. Poi in realtà pretendeva come tutti gli altri insegnanti, non regalava nulla, ma grazie a lui mi sono innamorata del Diritto.  Mi sono iscritta a Giurisprudenza a Padova cercando di mimetizzarmi con i liceali. Ricordo ancora il professore di Istituzioni di Diritto Romano che alla prima lezione chiese: “Chi viene dal Liceo Classico?” “Chi viene dal Liceo Scientifico?” “Tutti gli altri possono andare tranquillamente a casa perché non finiranno mai il corso di studi”.

Quanto ti ha aiutato la tua formazione per il ruolo che ricopri oggi?

Moltissimo, perché non fatico a comprendere le ragioni amministrative per cui certe cose si possono o non si possono fare e come strutturarle. Mi è servito anche nel rapporto con le persone perché, avendo già esercitato questa professione per 23 anni, sono abituata ad avere a che fare con persone molto differenti e a cercare di comprendere quale sia la vera questione che mi sottopongono, trovare una soluzione e condividerla.

Quindi Università, esame di Stato…

Sì, finita l’Università ho fatto i due anni di pratica in studio da mia cugina dove ho avuto la possibilità di vedere tutti gli aspetti del lavoro. Nello studio oltre a lei c’era un collega e sono stati veramente gli anni più belli. Poi si avvicina l’Esame di Stato (che ho passato per fortuna al primo tentativo, a Venezia) e muori dallo spavento, devi organizzarti per continuare a lavorare e nel contempo studiare … e la vita cambia. Ma poi la vita è così, è fatta di conciliazioni, come essere incinta e lavorare… Io mi ricordo che sono tornata a lavorare dopo 2 settimane dal parto, non a tempo pieno, un pò alla volta, ma ho sempre avuto la fortuna di potermi gestire il tempo, questo mi ha aiutata a non andare in ansia, se avessi qualcosa da timbrare, andrei in ansia totale.

Ma il futuro com’è? No, no, non voglio scoop (e rido), mi sto avviando alla conclusione del nostro incontro. Pensieri, progettualità, riflessioni…

Più si va avanti e più hai la sensazione che ci siano sempre più cose da fare. Io sono sempre stata dell’idea che bisogna lasciare spazio agli altri. È anche vero che questi sono ambiti in cui la “specializzazione” sui temi, chiamiamola così, è opportuna e necessaria, anche perché stiamo vivendo un periodo molto complesso… capire i meccanismi, i vari equilibri, il “chi farà cosa” è molto complicato.

Perché a memoria ricordo che questa Amministrazione fin da subito ha “messo in ordine” le partecipate e “preso in mano” cose complesse…

Sì, abbiamo voluto approfondire ogni singolo aspetto del lavoro di amministratore pubblico e non prendere nulla con un “si è sempre fatto così”, cerchiamo di capire dove vogliamo andare, quali logiche ci stanno dietro, perché chi comanda fa così, ed è stato faticosissimo in ogni ambito.
Nel sociale la grande difficoltà sta proprio in queste evoluzioni (vedi la problematica dell’Ambito), perché sono calate dall’alto e bisogna adeguarle alla realtà territoriale senza stravolgere tutto: senza cambiare la vita alle persone, agli utenti, senza cambiare la vita a chi ha sempre operato in questo settore, continuando a dare un buon servizio. E poiché il servizio non dipende tutto da noi, ma anche da tutta una serie di attori, è un attimo sbagliare.

L’ultimo della catena, ma il primo a cui è rivolto il servizio poi è il cittadino.

Che poi se qualcosa non va, viene da te e tu cosa gli dici? Posso fare fino a qua” No, ti dai da fare in ogni modo.

Cristina siamo arrivate alla fine del nostro incontro e ora mi sembra chiara la complessità di chi opera in questo contesto, un incarico che, se passasse a qualcun altro, avrebbe un’eredità pesante da portare avanti.  Come farai a trasmettere tutte queste competenze, che si sono formate e sviluppate gradualmente in nove anni? C’è il rischio che qualcuno si senta soffocare da tutto questo carico e da tutta questa responsabilità…

Proprio in questi giorni mi ha colpito il fatto che in ambito internazionale ci siano state due dimissioni con la motivazione che non ce la facevano più. Il rischio è proprio questo, andare in sovraccarico soprattutto quando la responsabilità aumenta, ti sommerge ed è schiacciante. Devi avere la capacità di arginare la cosa, ti rendi conto che c’è tanto da fare, perché non vuoi assolutamente che qualcosa si perda, perché tu non sei al passo… Eh sì, l’unica cosa che mi salva è che il tempo me lo gestisco io.

Grazie Cristina per questo incontro e per averci accompagnato simbolicamente nell’affrontare i temi delicatissimi che toccano il cuore della nostra città. Grazie Cristina anche per il tuo impegno e la tua professonalità.

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